Difendiamo la comunicazione come “bene comune”

Se vogliamo difendere lo spazio politico di una convivenza democratica, non possiamo sottovalutare un sintomo della attuale situazione politica (aggravata dalla crisi) che consiste nella difficoltà a comunicare, specialmente tra persone che hanno concezioni del mondo diverse e contrastanti.
Il filosofo Habermas, è sempre stato particolarmente attento a questo indicatore: «la condizione in cui si trova una democrazia si può accertare solo sentendo il polso del suo spazio pubblico politico» (nota 1 e 2). 
Questo significa che lo spazio politico deve essere l’ambito in cui tutti i “pensieri diversi” debbono avere la possibilità di contribuire responsabilmente al bene comune della comunicazione, cercando di spiegare ciò che per loro vale, in un linguaggio che sia accessibile a tutti. 
E che pensare a questo proposito di fronte alla presunta laicità di scelte politiche che mirano a eliminare ogni riferimento religioso nello spazio pubblico?
Si resta evidentemente molto perplessi se volessimo confrontare questo comportamento con l’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
Infatti, la sua inosservanza sta dando origine ad un pensiero pratico “non comune”, bensì “minimo indispensabile” a far convergere scelte politiche che di fatto escludo le differenze culturali. 
Diversamente, quindi, dobbiamo affermare ed esigere come spazio pubblico (e quindi veramente laico) solo quello spazio che investe sulla libertà dei cittadini – di qualsiasi opinione, credenti e non credenti – che si mettono in  gioco per raccontarsi (parlare del vissuto esperienziale e vocazionale della loro vita) secondo una logica – come insegna Ricoeur (3) – di reciproco, seppur faticoso, riconoscimento . 
Per questo è importante che tutti devono impegnarsi a tradurre la propria visione del mondo in un linguaggio comprensibile anche da chi non la condivide, così come ci viene raccomandato giustamente da Habermas quando parla di: «un [comune] impegno collaborativo» (4).
 
 
1. Jürgen Habermas (Düsseldorf, 18 giugno 1929) è un filosofo, storico e sociologo tedesco nella tradizione della "Teoria critica" della Scuola di Francoforte (vedi anche: T. W. Adorno, M. Horkheimer, H. Marcuse, E. Fromm).
Nei suoi scritti occupano una posizione centrale le tematiche epistemologiche inerenti alla fondazione delle scienze sociali reinterpretate alla luce della "svolta linguistica" della filosofia contemporanea; l’analisi delle società industriali nel capitalismo maturo; il ruolo delle istituzioni in una nuova prospettiva dialogico emancipativa in relazione alla crisi di legittimità che mina alla base le democrazie contemporanee e i meccanismi di formazione del consenso.
2. J. HABERMAS, La condizione intersoggettiva, tr. it. di M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 2005, 18.
3. Paul Ricœur (Valence, 27 febbraio 1913 – Châtenay-Malabry, 20 maggio 2005) è stato un filosofo francese. P. RICŒUR, Parcours de la reconnaissance, Editions Stock, collections "Les Essais", Paris 2004.
4. J. HABERMAS, Tra scienza e fede, tr. it. di M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 2006, 35.
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