Cinzia Rossi, sposata, milanese, 37 anni, una laurea e due figli di 6 e 4 anni, da marzo lavora da casa per Adecco, agenzia per il lavoro. «Ho chiesto questa modalità di lavoro a causa di problemi di salute di mio marito – spiega – . Lavoro undici giorni al mese, quando si concentrano le elaborazioni per le buste paga dei dipendenti di Adecco Italia.
Pur avendo un part-time verticale, però, non potendo più contare sull’aiuto di mio marito, ho avuto difficoltà a conciliare famiglia, casa, bambini e lavoro. Insomma a gestire la quotidianità. Capitava, spesso, di dovermi assentare. Così ho chiesto all’azienda di lavorare a distanza. Mi è stato dato un portatile, un grande monitor e una tastiera, una sedia ergonomica e a breve arriverà un cellulare». La dipendente ha ricevuto a casa la visita del responsabile della sicurezza sul lavoro in azienda per la verifica che l’appartamento fosse a norma di legge. La sua postazione è un piccolo studio con una scrivania, dove lavora 8 ore al giorno. «La mattina accompagno i figli all’asilo, alle nove sono a casa e inizio la mia attività normalmente – dice –. Nel pomeriggio i nonni riportano a casa i bambini, in modo che ho tutta la giornata a disposizione per lavorare e nello stesso tempo riesco ad accudire mio marito, che non può uscire, quando c’è la necessità. La mia presenza costante in casa ha certamente migliorato la situazione familiare». In linea di massima Cinzia rispetta l’orario standard di lavoro, dalle 9 alle 18. Però quando c’è un’esigenza particolare può ‘staccare’. «Magari interrompo e finisco alle 19 – dice –. Alle volte dopo cena, una volta messi a dormire i bambini». L’azienda è soddisfatta: non ha trovato differenze qualitative del lavoro fra quando Cinzia era presente in ufficio e adesso che è a casa. «Per due giorni vado in ufficio a organizzare il lavoro – sottolinea –. Quando sono a casa ci sono sempre contatti telefonici soprattutto con il mio responsabile. L’unico piccolo inconveniente, se ne devo trovare uno, è che ci si sente un po’ isolati, ma sul piatto della bilancia pesano senza dubbio di più i vantaggi». Dal punto di vista dei contenuti del contratto non è cambiato nulla, dalla percentuale di part-time ai ticket per mangiare. (G.Sci. da Avvenire 13 luglio 2011)
Pur avendo un part-time verticale, però, non potendo più contare sull’aiuto di mio marito, ho avuto difficoltà a conciliare famiglia, casa, bambini e lavoro. Insomma a gestire la quotidianità. Capitava, spesso, di dovermi assentare. Così ho chiesto all’azienda di lavorare a distanza. Mi è stato dato un portatile, un grande monitor e una tastiera, una sedia ergonomica e a breve arriverà un cellulare». La dipendente ha ricevuto a casa la visita del responsabile della sicurezza sul lavoro in azienda per la verifica che l’appartamento fosse a norma di legge. La sua postazione è un piccolo studio con una scrivania, dove lavora 8 ore al giorno. «La mattina accompagno i figli all’asilo, alle nove sono a casa e inizio la mia attività normalmente – dice –. Nel pomeriggio i nonni riportano a casa i bambini, in modo che ho tutta la giornata a disposizione per lavorare e nello stesso tempo riesco ad accudire mio marito, che non può uscire, quando c’è la necessità. La mia presenza costante in casa ha certamente migliorato la situazione familiare». In linea di massima Cinzia rispetta l’orario standard di lavoro, dalle 9 alle 18. Però quando c’è un’esigenza particolare può ‘staccare’. «Magari interrompo e finisco alle 19 – dice –. Alle volte dopo cena, una volta messi a dormire i bambini». L’azienda è soddisfatta: non ha trovato differenze qualitative del lavoro fra quando Cinzia era presente in ufficio e adesso che è a casa. «Per due giorni vado in ufficio a organizzare il lavoro – sottolinea –. Quando sono a casa ci sono sempre contatti telefonici soprattutto con il mio responsabile. L’unico piccolo inconveniente, se ne devo trovare uno, è che ci si sente un po’ isolati, ma sul piatto della bilancia pesano senza dubbio di più i vantaggi». Dal punto di vista dei contenuti del contratto non è cambiato nulla, dalla percentuale di part-time ai ticket per mangiare. (G.Sci. da Avvenire 13 luglio 2011)