La ricchezza del settimo giorno

Cosa dovremmo fare per convincere chi ci governa che riposare la domenica (cioè non fare alcun lavoro retribuito) restituirebbe dignità e libertà al nostro Paese?

Mi sono posto questa domanda dopo avere letto un articolo del prof. Luigino Bruni (quotidiano Avvenire della scorsa settimana) e che di seguito ti riporto, in sintesi, con una aggiunta di mie consoderazioni.

«Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno ti cesserai, perché possano riposare il tuo bue e tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e lo straniero».

Questo brano di grande umanesimo tratto dal libro dell’Esodo (cap. 23,10-12) ci introduce anche nella dimensione di radicale gratuità del tempo e della terra con quella che è stata la grande legge del sabato che riguarda la natura, il tempo, gli animali, le relazioni sociali.

Puoi usare la terra sei giorni, non il settimo; puoi farti servire dal lavoro di altri uomini per sei giorni, non il settimo.

I boschi, il mare…, la terra e quanti vi abitano vanno rispettati, e quindi lasciati riposare liberi dal nostro istinto di possesso, non solo perché i loro frutti saranno per noi più sani e buoni. Vanno rispettati per il loro valore intrinseco e per la loro dignità, che dovremmo riconoscere e non oltraggiare anche quando una terra non è messa a cultura, e quando in un lago non c’è nessun pesce da pescare.

Perché i campi, i laghi, le foreste, sono creazione e dono, come lo siamo noi umani, gli animali, il mondo.

La fraternità della terra è la legge che ispira il settimo giorno.

La modernità, invece, con la nuova legge del PIL, ha cancellato la legge del sabato, riducendo il settimo giorno uguale agli altri sei.

La cultura del capitalismo in cui ci siamo immersi, ha una sua natura idolatrica: esige un culto perenne e totale, che ha bisogno di consumatori-lavoratori sette giorni su sette.

 

E così una grande indigenza della nostra generazione, forse la più grande, è la morte del settimo giorno, che è stato fatto scomparire dal nostro codice simbolico collettivo.

Gli “imperi” di tutti i tempi – oggi, anche, sotto forma di partiti politici – hanno sempre tentato di eliminare l’idea stessa del settimo giorno per i seguenti motivi:
1. le gerarchie e il potere durerebbero solo sei giorni,
2. per commettere tutte le ingiustizie sei giorni non sono sufficienti;
3. è troppa alta la paura di offrire alla comunità un intero giorno per esprimere un giudizio sulla (in)giustizia e sull’umanità degli altri sei;
4. non è conveniente dare la stessa dignità alla “gratuità della festa” e “l’efficienza del lavoro”.

Quando manca il settimo giorno, il lavoro diventa schiavitù per chi lavora, servitù e assenza di respiro per la terra e per gli animali; il forestiero non diventa mai fratello, il povero resta solo un rifiuto della comunità.

Per questo dobbiamo amare il settimo giorno, come grande speranza e promessa di libertà da tutti gli idoli e da tutti gli imperi, e come giudizio sul loro tempo: la profezia di un “giorno” diverso è sempre rinata nelle sofferenze e nelle schiavitù, e può rinascere ancora.

La legge del settimo giorno interpella tutte le dimensioni della vita.

Come singole persone ci invita a non consumarci e non possederci fino in fondo, a lasciare spazio nella nostra anima non occupato dai nostri progetti, perché vi possano fiorire semi che non sappiamo di custodire.

Perché il valore del settimo giorno non è solo un settimo del totale: è lievito e sale di tutti gli altri, che senza di esso restano sempre e tutti azzimi e sciapi.

Purtroppo la notte del settimo giorno sta inesorabilmente abbuiando gli altri sei. La terra non respira più, e a noi manca la sua aria.

Abbiamo il dovere di ridonarle e ridonarci respiro, di ridonarlo ai nostri figli che hanno diritto a vivere in un mondo con un giorno diverso in più, a rifare l’esperienza del dono del tempo e della terra.

E quindi: cosa dovremmo fare per convincere chi ci governa che il riposo domenicale è il volano della nostra economia?

 

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