Una breve riflessione tra progresso scientifico ed etica.
Nel panorama delle scoperte scientifiche, assistiamo a uno sviluppo senza precedenti in vari ambiti: la fisica quantistica ha rivoluzionato l’informatica, la genetica ha aperto possibilità immense (e controverse) per la manipolazione della vita umana, e le scienze biologiche esplorano continuamente nuovi confini. Ma questa marcia inarrestabile solleva una domanda fondamentale: fino a che punto possiamo procedere senza guidarci con un’etica adeguata?
La storia ci ha insegnato che il progresso scientifico, senza una consapevolezza morale, rischia di produrre devastazione. Gli Stati possiedono ormai armi nucleari, trasformate in una minaccia continua per l’umanità intera. Nel campo della genetica, il profitto ha preso il sopravvento, portando i ricercatori a diventare quasi uomini d’affari, e lasciando la ricerca medica nelle mani di multinazionali che perseguono guadagni più che cure, dando priorità ai farmaci più redditizi a discapito di quelli che servirebbero maggiormente alla salute pubblica.
Di fronte a questi scenari, il monito di Rabelais – “Scienza senza coscienza non è che rovina dell’anima” – risuona con un’attualità preoccupante. Le guerre, il degrado ambientale, l’ineguaglianza sociale sono solo alcuni dei segni di una civiltà che avanza tecnologicamente ma che si impoverisce sul piano umano.
È quindi urgente generare un umanesimo, capace di orientare il sapere verso il bene comune, anziché verso il puro profitto o il potere. L’etica, sia essa laica o religiosa, è oggi più che mai chiamata a vigilare sulle scelte della scienza, ricordandoci che il progresso deve servire l’uomo, e non schiacciarlo.